Si era detto che con il nuovo governo le misure non sarebbero più state uguali per tutti, in gergo “a pioggia”. Invece, qui sembra scendere un diluvio che non fa differenze. Nel decreto sostegni, che dovrebbe essere approvato venerdì, la proroga del divieto di licenziamenti riguarderebbe infatti tutte le aziende, senza selezione, con la sola differenza che per quelle più grandi (che utilizzano la cassa integrazione ordinaria) il rinvio dovrebbe essere di tre mesi, mentre per quelle più piccole (che usano la cig in deroga) si arriverebbe a sette mesi, cioè a fine ottobre. È evidente che non c’è alcuna ratio, se non quella dimensionale. Non si distingue tra le aziende che sono già tornate alla normalità, chi ci sta provando e chi, purtroppo, è in condizioni difficili.
Ad oggi il nuovo esecutivo non ha fornito risposte soddisfacenti. Non solo perché le imprese sono ancora in attesa degli aiuti previsti dopo le forzate chiusure natalizie (sono passati tre mesi…), ma anche perché si continua a varare provvedimenti senza considerare che i diversi settori economici stanno registrando performance assai diverse. Il divieto di licenziamenti, che esiste solo in Italia, poteva avere senso durante il primo lockdown, ma non si può convertire un palliativo temporaneo nella terapia definitiva. Soprattutto non può essere uguale per tutti. Industria e costruzioni, per esempio, sono tornati alla normalità e godono comunque di 52 settimane di Cig ordinaria. Come in altri paesi e come avvenuto nella crisi del 2008, se le aziende dispongono della Cig evitano di licenziare poiché questo ha un costo (salato) e, in prevalenza dei casi, è impugnabile per via giudiziaria.
Quando il blocco dei licenziamenti sarà rimosso (e prima o poi dovrà succedere) potrebbe scatenarsi una reazione disordinata, difficile da gestire. Invece, per tornare a crescere e creare lavoro, per far ripartire l’Italia, le imprese devono poter avviare da subito processi di ristrutturazione, se necessario anche con interventi sul personale (qualcuno ha ipotizzato contratti di prossimità e di solidarietà come valide alternative, a cui aggiungere percorsi di formazione e riqualificazione), reinventandosi e preparandosi così al post-Covid. Ingessarle nel vincolo generalizzato del divieto di licenziamento – che oltretutto limita le libertà costituzionali di impresa e di iniziativa economica – blocca questa trasformazione e obbliga molte attività a dichiarare fallimento.
Più che continuare a nascondere la polvere sotto il tappeto è ora di invertire la rotta. Soprattutto, le aziende devono poter tornare a organizzarsi liberamente. La proroga del blocco dei licenziamenti potrebbe avere senso solo se selettiva, per i settori più colpiti. Non certo in base alla dimensione. E poi bisognerebbe sostituire la Cig con la Naspi-Covid, che può essere estesa con più facilità e che non grava sull’azienda per i costi accessori. Anzi, potrebbe essere utile allentare i requisiti di ingresso alla Naspi nel 2021 per i giovani, molti dei quali hanno perso il lavoro a causa di contratti a termine scaduti. Speravamo che questo governo fosse diverso dal precedente, perché in grado di annunciare di meno e fare di più. Finora, invece, sembra che anche quei pochi annunci arrivati non vengano rispettati. Soprattutto, le piccole e medie imprese, tessuto e motore dell’economia, vengono vincolate e limitate nelle loro scelte. Inaccettabile.