Bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare. E bisogna riconoscere che sono le piccole e medie imprese e i piccoli imprenditori a tenere in piedi l’economia del Paese. Nonostante la guerra, l’inflazione, la crisi energetica e la mancanza di materie prime il pil italiano è in aumento dell’1% negli ultimi tre mesi e del +3,4% nel 2022 (ma si parte da un +2,3% come eredità dello scorso anno). Dopo il rimbalzo del 2021, l’Italia continua a essere uno dei Paesi che in Europa cresce di più, anche di Francia e Germania.
Quel che più salta all’occhio, tuttavia, sono i dati sull’occupazione. Stiamo per scendere sotto i due milioni di disoccupati (non accadeva dal 2009) e il tasso di occupazione (la percentuale di chi lavora nella fascia d’età tra 14 e 64 anni), ha superato il 60% per la prima volta nella storia. Ancora dieci punti in meno della media nel Vecchio Continente, ma comunque un passo avanti. Rispetto a giugno 2021, l’incremento di oltre 400 mila occupati è determinato dall’aumento dei dipendenti che, a giugno 2022, ammontano a 18,1 milioni, il valore più alto dal 1977, primo anno della serie storica.
Ora però è bene fare chiarezza ed è inutile che qualcuno provi ad assegnarsi i meriti: i soldi del Next Generation Eu sono arrivati in minima parte, i progetti collegati sono in via di definizione, le riforme sono a metà strada, le infrastrutture ancora da rilanciare. Allora cosa è cambiato? Che per qualche mese le imprese italiane hanno semplicemente potuto fare il loro lavoro. Sono state lasciate in pace. Se si esclude la paradossale e grottesca vicenda dei bonus edilizi, infatti, per una volta non hanno visto le regole cambiare, le tasse alzarsi, le leggi cambiare in corsa. E per la struttura del tessuto produttivo italiano, il plauso maggiore deve andare all’articolato e brillante mondo delle piccole e medie imprese. Che poi rappresentano più del 95% delle aziende operanti, generano più del 70% del fatturato italiano e impegnano più di quattro lavoratori su cinque. Ecco: le pmi sono la struttura portante della nostra economia reale.
Guardando i numeri dell’Istat, sia sul fronte economico che su quello occupazionale, è evidente che esse detengono una sorta di “resilienza offensiva”: seppur non aiutate dal decisore pubblico, se non vengono vessate più del normale riescono a sprigionare vitalità e ricchezza. E assumono, prevalentemente con contratti a tempo indeterminato. A voler essere brutali, le pmi sono più forti dei ritardi della politica. L’Italia, nei secoli, ha sempre avuto in questo la sua ricchezza. Nella forza delle idee, degli imprenditori, delle persone. Pensate se esse potessero beneficiare di piani strutturali di sviluppo. Ma per adesso accontentiamoci che ci lascino in pace.