Una coltre di nubi nere si addensa sull’economia del Sud Italia che, nel prossimo anno, rischia la recessione vera e propria. Una totale débâcle, con il Pil che potrebbe subire contrazioni fino a -0,4%, contro il +2,9% di quest’anno. Lo scenario è aggravato dalla combo recessione-inflazione. Lo dicono le stime del Rapporto Svimez 2022, presentato lo scorso 28 novembre alla Camera, secondo cui anche l’economia del Centro-Nord, pur rimanendo positiva a +0,8%, registrerebbe comunque un forte rallentamento rispetto al +4% del 2022.
Se le previsioni del Rapporto Svimez dovessero avverarsi nella loro interezza, per i territori del Sud Italia il 2023 alle porte sarebbe più cupo degli ultimi anni trascorsi, certo non floridi. Va bene, ammettiamolo, nel 2021 e 2022 dei segnali di ripresa ci sono stati e lo si deve in gran parte a edilizia e turismo. Adesso però le conseguenze della crisi energetica e inflazionistica saranno ancor più asimmetriche e andranno a penalizzare soprattutto famiglie e imprese meridionali.
La forbice di crescita del Pil tra Nord e Sud sta per riaprirsi drammaticamente: il Rapporto stima in valori assoluti 760 mila nuovi poveri (287 mila nuclei familiari), di cui mezzo milione nel Mezzogiorno.
Ecco che il principale documento di analisi sull’andamento dell’economia e della società meridionale e sulle politiche di sviluppo del nostro Paese arriva in un momento di per sé triste, segnato dalla tragedia di Ischia.
La storia di Casamicciola ne ricorda tante altre, che si ripetono in un film già visto, simile a una maledizione. Il dissesto idrogeologico, i terremoti e i danni connessi al cambiamento climatico – come alluvioni, allagamenti, incendi – in Italia, specie al Sud, sono al centro del film già visto. E che succede? Si esprime solidarietà, le polemiche fioccano e poi c’è sempre una corsa frenetica a cercare qualcuno cui dar la colpa.
Poi si emanano decreti lampo, si stanziano fondi, interviene l’Europa e che succede, di nuovo? Succede che anche i fondi stanziati dall’Unione Europea tornano indietro, perché non si riesce a spenderli. Un fiume di denaro per risollevare il Sud, fin dai tempi della Cassa del Mezzogiorno, disperso in mille rivoli senza risultati. Forse le classi dirigenti dovrebbero andare più a “scuola di senso di responsabilità”, assumersi la progettualità, piuttosto che rincorrere il consenso.
Quindi – al netto delle conferenze stampa programmatiche, degli accordi, al netto dei piani industriali – nel nostro Paese realizzare un’infrastruttura, bonificare un’area con metodologia durevole, rimane ancora un percorso annoso, spesso impossibile, che ricorda il mito di Sisifo e le tragedie si ripetono, praticamente con lo stampino.
Stefano Ruvolo,
Presidente di Confimprenditori