Inizierà domani, in commissione Lavoro, l’iter in Senato del decreto legge che abolisce i voucher e ripristina la responsabilità solidale negli appalti, dopo l’ok incassato la settimana scorsa dall’aula della Camera. Nel frattempo, però non fanno che aumentare le discussioni sul tema. Confimprenditori come associazione datoriale si è sempre espressa contro la soppressione dei voucher perché hanno permesso, con la loro istituzione, di arginare il lavoro nero, oltre che permettere la regolamentazione di un segmento legato alla flessibilità che è quanto ci viene richiesto anche dal mercato europeo. A supportare il valore dei voucher un’indagine condotta dalla Fondazione Studi Consulenti del lavoro sui dati Inps. Secondo lo studio il pericolo più immediato dall’abolizione dei buoni lavoro è il ritorno al lavoro sommerso “reso visibile grazie all’utilizzo dei ticket”, spiega il report.
I tre maggiori utilizzatori dei buoni lavoro oggi non posso che essere occupati occasionalmente solo tramite uno strumento normativo simile al voucher. Questo perché il loro status principale risulta incompatibile o non conveniente rispetto a un rapporto di lavoro dipendente di tipo tradizionale. In tal senso neanche il lavoro intermittente modificato sarebbe utile, poiché destinato all’utilizzo da parte di aziende, cioè da parte di soggetti non hanno utilizzato i voucher in maniera prevalente. Sempre secondo l’analisi della Fondazione Studi l’attuale quadro normativo non offre valide alternative al lavoro occasionale.
Non è del tutto adatto il contratto di lavoro a tempo determinato, che comunque prefigura una durata, seppur minima e quindi una sua programmazione, oltre ai divieti connessi al cosiddetto ‘stop go’, che impone un intervallo di tempo minimo tra un contratto e l’altro. Non lo è nemmeno il contratto di somministrazione, per motivi simili, oltre al costo orario della prestazione, che supera anche del 50% quello del lavoratore ‘voucherista’. Il lavoro a chiamata appare come quello più simile alle esigenze cui rispondeva l’utilizzo dei voucher. Il contratto intermittente, infatti, consente di regolare prestazioni di lavoro discontinue. D’altra parte, però, anche questo è pur sempre un rapporto di lavoro subordinato a tutti gli effetti che prevede adempimenti, formalità e programmazione preventiva.
“Conseguentemente, anche i costi – si legge nello studio della Fondazione – presentano un significativo aumento rispetto al lavoro accessorio, tra il 40% e il 60% rispetto al costo del singolo voucher. Peraltro, l’attuale normativa, con i limiti di età che impone per il ricorso al lavoro a chiamata (sono esclusi i soggetti che hanno compiuto 25 anni e fino ai 55 anni di età), finisce per tenere fuori dall’utilizzazione di questo contratto proprio la fascia di età di maggior interesse per il dato occupazionale”.
L’abolizione dei voucher comporta quindi un vuoto normativo ancor più significativo per le famiglie, evidentemente meno attrezzate per provvedere agli adempimenti formali previsti per la formalizzazione di un rapporto di lavoro, che invece avevano nel voucher un utile strumento di flessibilità e semplicità per richiedere prestazioni lavorative di piccolo cabotaggio, tipiche delle esigenze familiari (collaborazioni domestiche per le pulizia, piccoli lavori di manutenzione, artigianali, ecc.).