La burocrazia continua a fare vittime. E’ il caso delle Pmi italiane molte delle quali, ad appena cinque anni dalla nascita, si trovano a chiudere i battenti. E’ questa la fotografia scattata dalla Cgia di Mestre che fissa in 23 miliardi all’anno quanto speso dalle imprese in burocrazia.
Su quanti fanno impresa in Italia pesano le troppe tasse, una burocrazia che non allenta la morsa e la cronica mancanza di liquidità: tutti elementi che condiscono la vita quotidiana delle Pmi costrette a confrontarsi con una realtà che mette loro i bastoni fra le ruote. La Cgia di Mestre ha calcolato in 45 i giorni che un’impresa “perde” per sbrigare questioni burocratiche, ma non è solo un problema di tempo sprecato. La burocrazia è figlia dell’eccesso di norme che invadono il Paese e di una giustizia civile che allunga i tempi dei contenziosi. Patologie endemiche che caratterizzano negativamente il Paese e non invogliano gli investitori stranieri, molti dei quali evitano l’Italia proprio per la farraginosità del nostro sistema burocratico. Incomunicabilità, mancanza di trasparenza, incertezza dei tempi ed adempimenti onerosi hanno generato un velo di sfiducia tra imprese private e Pubblica amministrazione che non sarà facile eliminare.
Ad un quadro già di suo sconfortante, si aggiunge anche la scarsa lungimiranza del governo che nella manovrina ha inserito l’estensione dello split payment che fissa in 310mila in più le piccole imprese che dovranno garantire, nell’anno in corso, un miliardo di Iva. In nome della lotta all’evasione lo split payment impone che l’impresa versi all’ente della pubblica amministrazione l’ammontare dovuto per la prestazione al netto dell’Iva. Secondariamente l’ente della Pa si occuperà di versare l’Iva a debito dovuta. Un altro modo per fare cassa sulle spalle delle Pmi, le stesse che attendono ancora di veder saldati i crediti maturati con la Pa. Sempre la solita storia.