Rischiamo di affogare nel mare della burocrazia fiscale: cosa serve ancora al governo per attuare riforme strutturali che semplifichino la vita di imprese e cittadini? E’ quanto bisogna chiedersi all’indomani della pubblicazione del Financial Complexing Index 2017, classifica redatta da Tmf group che prende in esame 94 ordinamenti fiscali nazionali tra Europa, Medio Oriente, Africa, Asia e Americhe.
E per l’Italia la situazione non è per niente rosea. Anzi. Il Belpaese infatti viene annoverato ai primi posti della classifica mondiale per complessità fiscale: siamo dietro solo a Turchia e Brasile, davanti a Grecia, Vietnam e Colombia. Uno dei problemi italiani maggiormente rilevato da questo studio è la dispersione dei livelli impositivi. In Italia ci sono imposte statali, regionali e comunali. E questi sono tutti dati che confermano la percezione empirica che soprattutto gli imprenditori delle piccole e medie imprese italiane hanno quotidianamente, sentendo il peso della zavorra di fisco e burocrazia. Carte su carte portano l’Italia ad essere vittima di adempimenti su adempimenti fiscali dove non solo la pressione fiscale è elevata ma pagare le tasse è un vero e proprio terno al lotto.
Il quadro dentro cui si muovono le Pmi italiane è insomma questo: una pressione fiscale oltre il lecito – si lavora per quasi otto mesi per lo Stato – un sistema di regole bizantino e una sempre più pronunciata scarsezza di liquidità (quest’ultima ora accresciuta dalla possibilità di allargare la platea dello split payment). Una realtà insostenibile rispetto alla quale però ci sono sempre altre priorità – fino a ieri la legge elettorale e le elezioni anticipate – ma che resta il principale problema italiano e il più grave ostacolo all’attività delle Piccole e medie imprese.