Mentre alla Camera si discute in queste ore l’approvazione del decreto-Banche il senno di poi ci induce a dire che al salvataggio pubblico delle venete – operazione costata finora ai contribuenti 5miliardi e 200 milioni di euro – non c’era purtroppo alternativa. Detto chiaramente non si potevano sacrificare 40mila dipendenti, gli obbligazionisti, i correntisti sopra i 100mila euro e sopprimere le attuali linee di credito assieme al tessuto economico del Triveneto. Oltre al danno peraltro avremmo assistito alla beffa che gli obbligazionisti subordinati non solo avrebbero perso, con il fallimento, 12 miliardi di euro ma sarebbe stato chiesto loro il rientro delle linee di credito.
Nella stragrande maggioranza dei casi infatti i clienti, imprenditori soprattutto, con posizioni attive nelle banche in dissesto sono stati costretti a diventare obbligazionisti per vedersi aperte delle linee di credito. Il problema è proprio questo: l’operare tacitamente ricattatorio di quelle banche che vincolano l’apertura delle linee di credito alla sottoscrizione delle obbligazioni. Una pratica conclamata e abituale su cui gli organi di vigilanza bancaria hanno evidentemente chiuso non uno ma entrambi gli occhi. Poi ci stupiamo se questa storia dei fallimenti bancari con salvataggio pubblico si ripete serialmente.