Diciamocelo con franchezza: il decreto Sud appena approvato alla Camera non offre basi sufficienti per parlare di un piano strutturato per il rilancio del mezzogiorno. Da un lato infatti il provvedimento non contiene lo stanziamento di risorse aggiuntive reali – le somme movimentate erano già date disponibili per il sud Italia – dall’altro perché non siamo di fronte a una strategia di investimenti sulle infrastrutture, il vero punto focale della questione meridionale. La parte più interessante del decreto tuttavia è quella relativa alle Zes, zone economiche speciali con fiscalità agevolata; ma va detto che la carta delle Zes nel decreto è stata giocata con grande timidezza, limitata al settore portuale. Un errore se si pensa che in Europa le Zes sono circa una settantina, 14 delle quali istituite in Polonia. Polonia che potrebbe diventare, da questo punto di vista, un modello per l’Italia. In particolare potrebbe essere adottata la misura più importante delle Zes polacche la corporate income tax exemption che può oscillare tra il 25 e il 55 %, a seconda di una serie di variabili (ammontare degli investimenti programmati, numero di posti di lavoro che si verranno a creare, dimensioni dell’impresa, luogo dell’investimento). E le Zes non dovrebbero essere limitate al Mezzogiorno. Ci sono territori peculiari anche nel nord Italia che meriterebbero un’analisi seria. Per Confimprenditori sarebbe necessario per esempio creare un distretto finanziario su Milano per attrarre gli investimenti esteri, come sarebbe opportuno creare zone speciali in province particolari attraversate dalla questione dei transfrontalieri e alla delocalizzazione in Canton Ticino come quelle di Como e Varese. Tutto questo naturalmente oltre a non dover far la fine delle zone franche dovrebbe passare per una serrata trattativa con l’Europa, ma insomma, altri Paesi – pensiamo alla Francia di Macron e al recente caso dei cantieri Saint-Nazaire – non si fanno troppi problemi quando c’è in ballo l’interesse nazionale.