Andare all’università, studiare, dare gli esami e laurearsi in Design&Engineering al Politecnico di Milano. Maturare negli anni una serie di convinzioni e pensieri sulla professione di progettista e scoprire che poi quelle convinzioni si conciliano poco con il mondo del lavoro in cui si sta per entrare. E’ questa la storia di molti neolaureati ed è la storia da cui muove Francesco Bianco giovane autore, insieme a Lucia Rampino, professore associato presso il Politecnico di Milano – di “Il designer in azienda”, un viaggio d’esplorazione di un giovane designer in una PMI no-design (Edizione Franco Angeli-serie architettura e design).
Bianco, fresco di studi e intenzionato ad entrare nel mondo del lavoro, si mette alla ricerca di un’impresa di piccole dimensioni, completamente estranea alla realtà del design, con l’intento di provare a dare il proprio contributo d’innovazione ad un processo di sviluppo di nuovi prodotti. Innovazione ad ampio raggio che si espande poi su tutti gli aspetti aziendali. La scelta, dopo una serie di colloqui per ottenere un tirocinio, ricade sulla TKA Teknolabo, che si occupa di progettazione e produzione di strumentazione scientifica da laboratorio e di linee industriali nel settore farmaceutico. Il libro di Bianco è una sorta di diario di bordo dell’evoluzione di un’idea che diventa gradualmente realtà e prodotto.
L’entrata in azienda di Francesco non è stata semplicissima: da parte della TKA ci sono state una serie di resistenze legate in primo luogo alla diversità di linguaggio tra il designer e l’imprenditore Mario. Da una parte la proattività del neolaureato e dall’altra la paura di veder crescere i costi e l’avere a che fare con persone “che ti obbligano a stravolgere il progetto senza tenere in considerazione le tue esigenze tecniche”, come spiega il titolare della TKA Mario Sala. Il dialogo fra impresa e designer diventa tuttavia costruttivo ma ha bisogno di tempo e pazienza perché l’azienda assimili i concetti nuovi e li faccia propri. Del resto l’approccio iniziale di Mario Sala è quello che hanno molte piccole e medie imprese in un’Italia dove il boom economico, preceduto dal dopoguerra, ha creato terreno fertile per aziende che hanno sempre venduto bene anche se prive di una strategia di posizionamento di marca. Aziende che, come sottolineato da Bianco, “affermano di saper fare tutto e di poter assecondare qualsiasi richiesta del cliente, esattamente il contrario di quanto prescritto dal focus marketing e dal brand positioning fondamentali nel design driven”.
Il metodo utilizzato per effettuare questo “esperimento” è quello dell’autoetnografia il cui fulcro è l’interazione tra la prima persona del ricercatore e l’ambiente circostante, il ricercatore perciò non è solo osservatore ma anche partecipante: Bianco agisce in prima persona nello scenario analizzato e il suo lavoro come designer nell’azienda è oggetto di osservazione così da diventare catalizzatore, educatore e facilitatore in questo percorso.
Ad oggi nella TKA si è passati dall’assenza di design ad una situazione in cui il design è parte dei processi e agisce sul livello culturale dell’impresa. Due gli analizzatori realizzati da Francesco Bianco e dall’azienda che verranno immessi nel mercato e che oltre ad essere tecnicamente validi si avvalgono dello studio di design.
Prodotti funzionali ma avvolti dall’aura estetica creata dal designer. La TKA ha ora realizzato prodotti fortemente caratterizzati dal punto di vista del design che è per sua natura strettamente connesso con il rafforzamento dell’identità aziendale. L’impresa si è già messa in gioco accettando il continuo confronto virtuoso con un profilo professionale capace di offrire un valore aggiunto originale, rendendosi quindi protagonista dell’attenzione al design che porta all’implementazione del business rafforzando il proprio brand, rendendolo coerente e in continua crescita. Un esperimento che sembra destinato ad avere un futuro importante in un mondo che tende sempre di più a integrare funzionalità ed estetica.