Che fine ha fatto la crisi economica? Il cambio di governo ha inebriato il Paese. Commentatori e stampa si sono lasciati andare a elegie sperticate, eccessivamente premature. Noi vorremmo valutare alla prova dei fatti.
Dopo qualche settimana di rodaggio il nuovo esecutivo si sta giustamente concentrando sul piano vaccinale necessario per combattere la diffusione del Covid. Parallelamente, sta negoziando con l’Europa sul Recovery Fund. Bene. Tuttavia, c’è il pericolo che venga dimenticata la colonna portante, ma anche la più devastata dell’economia italiana: le piccole e medie imprese.
Sono diversi gli studi e le analisi che lanciano l’allarme. Secondo la Banca d’Italia, le aziende con livelli critici di patrimonializzazione sono passate dal 7,2% al 14% del totale. In pratica, sono raddoppiate quelle in difficoltà. Se a questo aggiungiamo che, secondo gli studi di via Nazionale, il 60% delle attività che entra in crisi non sopravvive entro i tre anni, purtroppo dobbiamo aspettarci un numero almeno doppio di fallimenti rispetto ai livelli pre-pandemia. Sempre che questo maledetto virus non torni a travolgerci con nuove ondate.
A stringere l’inquadratura sulle piccole e medie imprese emerge il quadro più preoccupante. McKinsey indica che circa l’80% delle pmi italiane avrebbe registrato un calo di fatturato, a fronte di una media del 55% in Germania e del 58% in Francia. Inoltre, il 75% di queste aziende avrebbe fatto domanda per ottenere sgravi fiscali legati al versamento dell’iva e il 55% ha richiesto aiuti statali. Se la situazione dovesse peggiorare a causa di ulteriori lockdown, più della metà delle pmi sarebbe quindi a rischio default. Purtroppo questa crisi ha effetti asimmetrici, come conferma uno studio Cerved, secondo cui a soffrire di più sono proprio le aziende più piccole.
Tuttavia, poiché le pmi rappresentano più del 90% del tessuto imprenditoriale italiano, l’effetto è esplosivo per tutto il Paese. Prima di tutto sull’occupazione. Secondo l’Inps nei primi nove mesi del 2020 abbiamo perso 470 mila posti di lavoro, mentre sono saliti di 621 mila unità gli inattivi. Un fenomeno che ha colpito prima di tutto la componente femminile, giovanile e precaria del lavoro. Insomma, la parte più fragile. Come avviene per le imprese – dove sono quelle più piccole, senza protezione e spesso portate avanti solo dal coraggio e dalla volontà di singoli imprenditori – così accade nel mondo del lavoro: a pagare sono sempre i più deboli.
Per questo, ora che il nuovo governo è entrato nel pieno delle sue funzioni ci auguriamo che le piccole e medie imprese tornino al centro dell’agenda. Siamo ancora in attesa dei “ristori” promessi dopo le chiusure di Natale e non sappiamo cosa accadrà con le scadenze fiscali né con il blocco dei licenziamenti. Viviamo nell’incertezza. Ecco, è ora di tornare a occuparsi con energia e determinazione della principale componente dell’economia italiana.