7 novembre (today.it) – di Antonio Piccirilli – In audizione alla Camera il ministro Giorgetti svela la logica dietro le modifiche alla web tax: eliminando la soglia di fatturato cadono le accuse di Washington sul carattere discriminatorio dell’imposta. Forza Italia: “Errori di stesura, il testo va corretto”. E Confimprenditori minaccia lo “sciopero fiscale”
Tassarle tutte per colpirne poche (e straniere). Sembra essere questa la logica dietro l’estensione della web tax anche alle piccole e medie imprese italiane messa nero su bianco nella manovra. Introdotta nel 2018, l’imposta sui servizi digitali era nata con l’obiettivo di combattere l’elusione fiscale delle multinazionali Usa (Google, Amazon, Meta) ma con le modifiche previste dall’articolo 4 della legge di bilancio dovrà essere pagata da tutte le aziende, anche italiane, che ospitano “pubblicità mirata” su un’interfaccia digitale, giornali compresi. Il testo va infatti a eliminare il limite dei 750 milioni di ricavi presente nell’attuale versione della legge, una soglia pensata proprio per colpire le big tech del settore.
Cancellare le soglie “attualmente previste in termini di fatturato globale e locale” ha spiegato il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti in audizione alle commissioni Bilancio di Camera e Senato, “elimina la caratteristica di ‘discriminazione’ alla base della contestazione Usa che avevano originato ritorsioni commerciali al momento dell’introduzione”.
La richiesta di Washington
Dietro le modifiche alla web tax dunque ci sarebbe una complicata partita con Washington. L’imposta del 3% sui servizi digitali, osteggiata fin da subito dagli Stati Uniti, era stata introdotta in via transitoria in attesa che i Paesi membri dell’Ocse si accordassero sui principi comuni per tassare le multinazionali che operano sul web. L’accordo però non è mai stato trovato. E lo scorso 30 giugno è scaduta anche l’ultima proroga del patto bilaterale firmato con gli Stati Uniti, una sorta di tregua siglata a ottobre del 2021 nelle more di arrivare a un’intesa.
Secondo un’indiscrezione raccolta da Reuters (che cita due funzionari vicini al dossier) gli Usa sono ora tornati a farsi sentire chiedendo al governo italiano di abrogare sic et simplicter l’imposta. Se Roma dovesse ignorare la richiesta potrebbero scattare ritorsioni commerciali. L’Italia avrebbe risposto che “l’eliminazione dei limiti minimi” della web tax, aumentando il numero di aziende costrette a pagare, “supererebbe le obiezioni degli Stati Uniti sulla sua natura discriminatoria”. Un’indiscrezione che sembra trovare conferma nelle parole del ministro Giorgetti.
La strategia di Roma
In ballo ci sono poco meno di 400 milioni che lo Stato incassa tassando le big-tech. Soldi che il governo italiano non è disposto a perdere. Secondo le fonti di Reuters, Roma è intenzionata a mantenere la web tax in vigore “in attesa che la nuova amministrazione di Washington esprima la sua posizione sulla questione”.
In attesa del braccio di ferro con Trump, l’imposta è stata estesa a tutte le aziende, anche a quelle italiane. In questo modo, come ha osservato Giorgetti, viene eliminata “la caratteristica di ‘discriminazione’ alla base della contestazione Usa”. C’è però un piccolo dettaglio: un balzello del 3% sul fatturato potrebbe mettere in difficoltà una miriade di piccole e medie imprese che operano nel digitale. E segnare il de profundis del settore, almeno a livello di Pmi.
Come se ne esce? In Parlamento la norma sarà probabilmente rivista. Il sottosegretario alla presidenza del consiglio Alessio Butti ha spiegato che una delle ipotesi è rendere la web tax progressiva, mentre Gasparri di Forza Italia è stato molto più categorico: “Dobbiamo correggere l’errore di stesura della legge di stabilità che rischia di far pagare le tasse all’Unione sarda e al Corriere di Forlì e non ai giganti della rete”. Tutto è ancora aperto.
Confimprenditori: “Pronti allo sciopero fiscale”
Le imprese non hanno preso bene le parole di Giorgetti che secondo Stefano Ruvolo, presidente di Confimprenditori, “confermano la scarsa attenzione di questo governo per le piccole e medie imprese, vero e proprio motore trainante della nostra economia. Invece di far pagare il giusto ai colossi del web, il ministro dell’Economia ha deciso di aumentare le tasse alle startup e alle piccole aziende italiane che investono in un settore strategico per il Paese”.
“Se anche in fase di discussione della legge di Bilancio dovesse rimanere questa nuova tassa sulle piccole e medie imprese siamo pronti a indire uno sciopero fiscale” dice ancora il presidente dell’associazione che rappresenta 370mila imprese e partite Iva. “Siamo stati i primi a denunciare questa scelta scellerata e ci saremmo aspettati un passo indietro del governo di fronte a un evidente errore politico e strategico. Adesso ci auguriamo che prevalga il buon senso, già espresso da alcuni alleati di governo, e non l’arroganza di chi non intende ritornare sui propri passi”.