Non conta solo fare le cose, ma soprattutto farle bene. Il governo ha approvato la nota di aggiornamento al Def, che è il quadro di finanza pubblica al cui interno verranno poi costruiti i provvedimenti della prossima manovra finanziaria. Alcune proposte sono già emerse ma tuttavia, in attesa della loro definizione, l’auspicio è che esse non siano parziali, raffazzonate o, addirittura, promosse solo in ottica elettorale. Ad allargare l’inquadratura, infatti, emerge come anche nel recente passato molti provvedimenti che potevano non essere sbagliati in assoluto, nella realtà concreta siano stati fatti senza un’ottica di lungo periodo, ma a breve scadenza, senza considerare gli effetti sull’economia, ma solo sulle urne; senza pensare alle prossime generazioni, ma solo alle prossime elezioni.
Non bisogna perseverare nell’errore. Prendete il reddito di cittadinanza. L’idea di costruire un sistema di welfare universale che vada oltre la novecentesca formula della cassa integrazione ha certamente delle basi solide che si fondano sull’evoluzione del nostro tessuto produttivo, più fluido, più dinamico, meno ingessato. Ma purtroppo la fretta è stata cattiva consigliera, per cui nella selezione, nell’assegnare un ruolo e nella messa a regime dei navigator sono emersi gravi problemi di funzionamento. Come anche per i criteri di assegnazione soggettiva e nell’erogazione delle somme previste. Così, un provvedimento che aveva le potenzialità di riformare il nostro (arcaico) sistema di protezione sociale è divenuto qualcosa di indefinito, estemporaneo e parziale.
Lo stesso vale per il bonus da 80 euro. La norma era stata presentata come una misura per rilanciare l’anemica domanda interna e in grado di sostenere un Paese sfiduciato ma, nel concreto, ha escluso milioni di cittadini al di sotto e al di sopra di una certa soglia di reddito, ha imposto balzelli fiscali ai destinatari e, in ogni caso, è stato presentato come un bonus, un’elargizione benevola, mentre quello di cui abbiamo bisogno è un taglio strutturale, permanente e netto del cuneo fiscale. Non è da meno la flat tax per le partite iva: a qualche mese dalla sua introduzione non sappiamo se verrà confermata, estesa, cambiata, stravolta. E ovviamente questo non può che generare incertezza e, di conseguenza, lentezza nella sua adozione da parte degli italiani.
Lo stesso discorso si può fare per ‘quota 100’, che ha un termine di tre anni ed è dunque parziale. O per gli interventi sull’industria 4.0, che ballano e che vengono messi in discussione un giorno sì e l’altro pure, impedendo alle imprese ogni programmazione. E si potrebbe andare avanti a lungo. Oggi si discute di taglio del cuneo fiscale, di pagamenti elettronici, di ticket nella sanità, di precari nella scuola e molte altre idee verranno lanciate.
Si potrà discutere idealmente e in assoluto di queste scelte, del loro effetto sull’economia e anche sull’opportunità di una loro adozione. Ma anche la migliore delle misure possibili, se adottata concretamente solo in modo parziale, utilitaristico, per acchiappare un po’ di consenso, alla fine si rivela un boomerang. Per l’economia, per i cittadini e anche per la politica che l’ha approvata. Non bisogna fare le cose purchessia, ma farle bene.