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Sblocca-cantieri. Decreto nato zoppo

Poco e male. Di fronte alla crisi dell’edilizia che in 10 anni ha visto scomparire 120 mila imprese, 620 mila posti di lavoro e circa la metà del valore del settore delle costruzioni, il governo ha provato a rimediare approvando un decreto sblocca-cantieri. Con intenzione corretta, ma insufficiente.

Prima di tutto perché il decreto è “salvo intese”, per cui deve ancora essere scritto in molte sue parti. E poi perché sono proprio le misure su cui è stato trovato l’accordo che destano preoccupazione. Innanzitutto, perché si abolisce il criterio dell’offerta economica più vantaggiosa e si reintroduce quello del massimo ribasso, un meccanismo che obbliga a ricorrere al lavoro nero, ai materiali scadenti e all’introduzione di costose varianti. Inoltre, si fa eccessivo ricorso a commissari straordinari, si consente alle stazioni appaltanti il controllo dei requisiti solo dopo l’apertura delle buste, (così anche chi non ha i requisiti potrà influenzare la media delle offerte) e si innalza stabilmente il limite sotto il quale non è obbligatorio indire la gara.

Si tratta di misure di eccessiva semplificazione che si sommano a quanto deciso nell’ultima legge di Bilancio in cui, dopo le prime positive bozze, le risorse sono state dirottate dagli investimenti a misure assistenziali, quali quota 100 e reddito di cittadinanza. Oppure rinviate a data da destinarsi. Insomma, allo stato attuale non vengono accelerati gli investimenti, non si riducono i tempi dei processi autorizzativi e burocratici, non si favorisce la spesa di soldi già stanziati ma fermi, non vengono limitati i ricorsi, non si combatte l’ideologia del NO né la sindrome Nimby (“non nel mio orticello”).

Eppure, proprio il settore delle costruzioni avrebbe bisogno di maggiore cura. Lo hanno chiesto gli imprenditori, ma anche 15.000 lavoratori in piazza sotto allo slogan “rilanciamo l’edilizia per rilanciare l’Italia”. Ed hanno ragione: essa nominalmente vale l’8% del pil ma in realtà coinvolge una filiera complessa, che va dalla movimentazione dei materiali all’utilizzo di macchinari, fino alle opere accessorie e di urbanizzazione. Senza dimenticare la progettazione, la manutenzione o l’amministrazione da parte di architetti, ingegneri, amministrativi, geometri, dirigenti. E senza dimenticare nemmeno che un’infrastruttura, sia essa una scuola, una strada o una stazione è anche un veicolo e un patrimonio di tutte le attività successive.

Purtroppo il settore è in crisi da più di 10 anni, lasso di tempo in cui ha perso 69 miliardi di investimenti (-35,1%), cioè 51 miliardi in edilizia privata e 26 miliardi in opere pubbliche. E continua ad andare male, visto che nei primi 9 mesi del 2018 le ore lavorate sono diminuite dello 0,9%. Eppure i numeri sono chiari: più di 600 cantieri sono fermi e se si sbloccassero le opere già finanziate per 26 miliardi si avrebbe un aumento del pil dell’1% nei prossimi tre anni. Considerando che l’Italia è entrata nella terza recessione degli ultimi dieci anni, questa volta solo nostra, forse l’edilizia ha bisogno di qualcosa di meglio di un decreto “salvo intese”. Ha bisogno di diverse intese.

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17 Ottobre 2024

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