Una volta vantare un credito con lo Stato era una certezza: impossibile non essere pagati. E invece, in tempi di crisi, il cattivo pagatore diventa proprio lo Stato. Come Confimprenditori abbiamo già da tempo sottolineato quanto pesino i debiti che la Pa ha con le Pmi e l’Europa stessa ha richiamato l’Italia sulla questione.
E’ di questi giorni il caso di un ristoratore del maceratese che ha deciso, dopo il terremoto, di continuare ad aprire il proprio ristorante proprio per offrire uno spazio a funzionari e operatori addetti al soccorso. Duecento pasti al giorno e un conto che cresce sempre più fino ad un credito con lo Stato di 150 mila euro. Inevitabili i debiti con i fornitori e con la banca: risultato? L’impresa rischia il fallimento. Nonostante abbia provato a risollevarsi dalla tragedia del terremoto. E il terremoto delle Marche e le difficoltà delle piccole e medie imprese sono il filo conduttore di tante storie. Una di queste l’avevamo raccontata tempo fa con la denuncia di un imprenditore del posto. E a distanza di qualche mese sembra che nelle Marche la situazione non sia cambiata molto.
All’indomani di quel terremoto il Governo ha emanato un decreto contenente interventi urgenti in favore delle popolazioni e delle imprese colpite dal terremoto. Il decreto in questione è stato convertito, con piccolissime modifiche, dal Senato prima e della Camera dopo. Il supporto alle Pmi previsto dal dispositivo legislativo si concretizzava in cinque provvedimenti principali: sospensione di utenze e mutui; finanziamento a tasso agevolato di 30mila euro con tre anni di pre-ammortamento; contributo di 5mila euro per gli imprenditori ed i titolari di partita Iva; cassa integrazione straordinaria; ripristino, attraverso dei container, delle sedi danneggiate dal sisma. Cinque punti imprescindibili per ricominciare di cui s’è persa traccia (escluso lo slittamento del pagamento delle utenze).
I container promessi agli imprenditori per riprendere l’attività? Non pervenuti. I finanziamenti a tasso zero per trentamila euro? Non pervenuti. Basta telefonare in una delle filiali delle banche di Camerino o dei comuni limitrofi per sentirsi dire che del tasso agevolato realizzato con il governo non hanno disposizioni. Nessuno si è visto accreditare i cinquemila euro promessi agli imprenditori e ai titolari di partita Iva promessi dal fondo per le emergenze.
Il governo ha parlato di interventi straordinari e d’urgenza ma d’urgenza c’è ben poco. Le Pmi colpite dal terremoto possono ottenere al massimo 200.000 euro, ovvero l’importo previsto dal regime de minimis. Il “de minimis” è una forma ordinaria di aiuto alle Pmi, autorizzata dai trattati europei e utilizzata da Stato e Regioni. Tale regime prevede si possano ottenere contributi nel limite massimo di 200.000 euro in 3 anni. Ma questi sono incentivi preesistenti e quindi se un’impresa ha già avuto accesso a sovvenzionamenti resta ben poco. L’amarezza è tanta, anche e soprattutto dinanzi a soluzioni come la creazione della Zona Franca Urbana, istituita nel Def.
La norma in merito ha una logica contraddittoria ed un metodo di assegnazione dei benefici fondato sull’assoluta incertezza. Se da una parte si limita l’accesso ai benefici alle sole aziende che hanno subito un calo di fatturato del 25%, dall’altro si incentivano nuove imprese e start up. Un incentivo ad aprire una nuova azienda piuttosto che a far crescere quelle già esistenti? Inoltre vige l’incertezza sull’erogazione. I fondi sono assegnati con il metodo del riparto: se un’azienda ha diritto ad una somma ma l’ammontare complessivo delle richieste supera lo stanziamento in bilancio, quella somma verrà assegnata in percentuale. Questo terremoto, insomma, è tutta una lotteria. Come quella fatta per avere uno dei container “messi in palio”. Una lotteria, però, che lascia tutti sconfitti.