Un decollo più annunciato che reale quello del welfare aziendale che potrebbe però valere 21 miliardi di euro. E’ questo il quadro emerso durante la presentazione del primo rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale. Uno strumento che esiste da sempre, basti pensare alle casse di previdenza ma che sta vivendo una nuova vita dal 2015, quando il Governo ha deciso di detassare il premio di produttività, permettendo ai lavoratori di sostituirlo con una serie di benefit totalmente esenti. Se questo strumento, che offre un grande contributo al benessere dei lavoratori, fosse garantito a tutti i lavoratori del settore privato, avrebbe un valore pari a quasi una mensilità di stipendio in più all’anno per lavoratore.
La fase di grande vitalità del settore supplisce in parte alla più generale crisi del welfare sociale. E qui veniamo al primo problema: il fatto che troppo spesso il welfare aziendale sia percepito come sostitutivo e non come pilastro aggiuntivo del più generale sistema. Dai dati elaborati dal Censis emerge come solo il 17,9% dei lavoratori italiani abbia una conoscenza precisa di cos’è il welfare aziendale, il 58,5% lo conosce solo a grandi linee e il 23,6% non sa cos’è. Ma non solo. Fra gli intervistati hanno una conoscenza minore del welfare i lavoratori con livelli più bassi di scolarità (47% di quelli con la licenza media non sa cos’è), quelli con redditi bassi (44,6%), i genitori single (40,3%), gli occupati con mansioni esecutive e manuali (36,7%), le lavoratrici (30,1%). Chi conosce meglio il welfare aziendale lo apprezza di più: favorevole è il 74,4% di chi lo conosce in modo preciso rispetto al 43,3% di chi non lo conosce. Di fronte alla possibilità di trasformare quote premiali della retribuzione in prestazioni di welfare, il 58,7% dei lavoratori si dice favorevole, il 23,5% è contrario e il 17,8% non ha una opinione in merito.
Ad essere più favorevoli sono i dirigenti e i quadri (73,6%), i lavoratori con figli piccoli, fino a 3 anni (68,2%), i laureati (63,5%), i lavoratori con redditi medio-alti (62,2%). Meno favorevoli sono gli operai, i lavoratori esecutivi e quelli con redditi bassi. Tra gli operai (41,3%) e gli impiegati (36,5%) sono più elevate le quote di lavoratori che preferiscono avere più soldi in busta paga invece che soluzioni di welfare. Fra i servizi e le prestazioni più apprezzati quelle legate all’area della salute e della sanità, seguite dalla previdenza integrativa, dai buoni pasto e dalla mensa aziendale, trasporto da casa al lavoro, la convenzione per acquisti convenienti presso negozi, buoni acquisto, asilo nido, campus e centri vacanze, rimborsi spese scolastiche per i figli. Ma non solo: il welfare aziendale migliora il clima nelle imprese. Ne è convinto il 47,7% e il 16,8% ritiene che faccia aumentare la produttività dei lavoratori. L’effetto positivo sul clima aziendale è la ragione richiamata prevalentemente dai lavoratori che si dicono favorevoli, ma ancora una volta è più forte il consenso tra dirigenti e occupati con alti redditi rispetto a operai e lavoratori con bassi redditi. Un buono strumento, insomma, che ha però bisogno di una maggiore informazione come dimostrano i dati Censis-Eudaimon. Servono, inoltre, delle piccole accortezze: fra le tante, quella di superare il rischio che il welfare rispecchi le differenze retributive tra lavoratori trovando il modo di operare come un meccanismo di contenimento o riduzione delle disuguaglianze e più ancora di risposta efficace ai bisogni reali di tutela e di servizi dei lavoratori. E’ fondamentale quindi il passaggio da welfare fiscale, emerso dalla legge di Bilancio, a welfare aziendale, facendo in modo che entrambi viaggino ad un ritmo sostenuto.